The Butler.
Stiamo parlando del maggiordomo della casa Bianca che ha servito almeno sette presidenti desti Stati Uniti e che ci ha fatto cavalcare gli anni della storia che hanno portato alla parità dei diritti di tutti i cittadini degli States, “negri” compresi.
Purtroppo non è stata facile, come tutti sappiamo e come celebri e illustri martiri ci hanno insegnato. Da Martin L.King a Malcolm X, ma questa non è la loro storia.
Questa è la storia di Cecil Gaines ( Forest Whitaker ) che nasce e cresce nelle piantagioni di cotone e che impara presto e a sue spese qual è il suo posto: essere un domestico, pronto a servire i bianchi. In una stanza che “ deve sembrare vuota mentre lui serve” e attento a non esprimere la benché minima vibrazione materiale e spirituale del suo Io. E questa concezione che nasce da un piccolo nucleo domestico non si evolve quando il contesto viene riportato nello studio ovale del presidente della Casa Bianca. Anche lì, sebbene il cambio della divisa e della struttura lascino presagire il contrario, la sua funzione o meglio esistenza sembra relegata e condannata all’attività domestica.
Ma questo non sembra turbare il fedele maggiordomo, che cresce anno dopo in anno potendo permettere ai familiari di poter avere quei piccoli lussi che di certo non si era potuto permettere da adolescente.
Ma Cecil non avrebbe mai potuto pensare che gli studi che assicuravano un brillante futuro ai suoi figli avrebbero consentito loro anche di capire che nell’aria si respirava il cambiamento della loro condizione e la rivoluzione era alle porte. Quando il figlio maggiore decide di diventare un rivoluzionario per combattere le popolarissime rappresaglie razziali, Cecil vede per la prima volta compromesso tutto il lavoro svolto e rischia seriamente di chiudere il rapporto con il figlio.
Ma tra un elezione e l’altra, Cecil vivrà sulla sua pelle i moti rivoluzionari e “meglio tardi che mai” capirà che la lotta del figlio, e la sua protesta, realizzeranno quel meraviglioso progetto che permetterà ai “neri” di non esser più considerati servi della società o cittadini di seconda categoria, ma cittadini americani al pari degli altri. Non a caso il film si concluderà con le elezioni di Obama, da oggi manifesto della “lotta dei neri” verso la totale integrazione sociale.
Prima di andare a vedere il film sapevo già che ci lavorasse anche la famosa Oprah Winfrey; sebbene avessi qualche remora, devo dire che la sua interpretazione ha reso veramente un buon servizio alla pellicola e quasi certamente le varrà qualche nomination come “miglior attrice non protagonista” agli Oscar. La sua popolarità le agevoleranno le innumerevoli critiche positive, ma suggerisco a chiunque veda il film di andare oltre il solito cliché della “ diva raccomandata” e riconoscerle il merito di una ottima interpretazione.
Il mio voto, personale e quindi soggettivo, è di 8/10.
-Stefano.
Nessun commento:
Posta un commento